Luci
a
cura di
Stefania
Severi
“Luci”
è il titolo che Daniela Troina Magrì ha indicato per la sua personale alla
Chiesa degli Artisti nel settembre 2009. L’artista ha voluto anche
accompagnare la mostra con una poesia dallo stesso titolo che chiarisce in parte
il suo concetto di luce che ella identifica con la bellezza del creato. Tale
luce non è solo intrinsecamente naturalistica ma, come espressione della
Creazione, si fa metafora della illuminazione divina.
Scegliere a
soggetto della propria pittura la natura e le sue variazioni in base alla
diversa incidenza all’elemento luminoso è comune a molti artisti, si pensi in
primo luogo agli Impressionisti. Ma il linguaggio estetico della nostra artista,
pur partendo da una realtà naturale, tende a trasfigurarla proprio in base
all’elemento luminoso che diventa quasi prevaricante. Tale processo è
evidente nel dipinto “Petali di luce” in cui i fiori risultano trasfigurati
come entro una nuvola dorata diventando essi stessi fonte luminosa.
Emblematiche, in tal senso, sono opere come
A fronte di
questa produzione, così libera nel gesto anche se controllata nella
progettualità,
corrisponde invece, quasi in modo antitetico, la produzione
grafica. Da sempre, nella storia
dell’arte, il predominio della forma o del colore hanno comportato addirittura
l’individuazione di differenti scuole, si pensi in primo luogo alla scuola
toscana in opposizione alla scuola veneta. Tale dicotomia viene normalmente
associata ad una visione più intellettualistica, nel caso del disegno, a fronte
di una visione più naturalistica, in relazione al colore. In Daniela troviamo
entrambi gli atteggiamenti ma distinti tuttavia l’uno per la grafica e
l’altro per la pittura. E’ come se l’artista sentisse la necessità di uno
studio analitico del reale che la porta a definire fin nei minimi particolari
“Piazza di Spagna” o il gruppo delle persone in “Amicizia” o i
“Girasoli” o “Fratello Sole e Sorella Luna”.
Ma
contemporaneamente si affida, libera da qualsiasi condizionamento, al colore,
dato in piena libertà, talvolta quasi a macchia. Molto indicativo in tal senso è il dipinto
“Tulipani” che è dato a pure macchie di colore, tanto che i contorni,
solitamente realizzati con una più o meno sottile linea scura, spariscono
lasciando al loro posto un “vuoto” luminoso. L’artista, del resto, è ben
consapevole di tale dicotomia, che va sicuramente abbinata alla complessità
della vita dei nostri giorni, in cui l’individuo è chiamato ad esercitare un
costante controllo su se stesso e sulle cose che lo circondano, non immemore però
di quella parte di sé che è naturalmente libera.
E proprio nell’intento di
offrire una risposta estetica univoca a tale dicotomia, Daniela ha elaborato una
serie di monotipi in cui l’elemento grafico si “sposa” con il colore, dato
quasi in forma gestuale:
"Cenerentola 2000", "Maschera",
"Luci d’estate". Che la
risposta di Daniela Troina suggerisca un possibile equilibrio? Intanto ognuno
troverà certamente in queste opere la risposta che cerca perché, al di là
dell’espressione formale, ciò che unifica l’intera produzione è una
visione armonica del creato in cui fiori e mare ed uomini e città e segni e
macchie di colore, convivono in un sostanziale equilibrio.
Dal
15 al 30 settembre 2009
presso