Responsabilità sociale dell’artista contemporaneo: 

arte relazionale e dialogo

di Daniela Troina Magrì  

                              “Nulla si è mai avverato che non fosse prima sognato”                                                                                                                                                                                                           Giò Ponti

Tra la fine del 2001 e l’inizio del 2002, Ralf Dahrendorf, nelle sue lezioni tenute presso l’Istituto di cultura di  Essen, raccolte poi nel volume Libertà attiva, affermava: La bussola che ci deve indicare la direzione in questo paesaggio senza punti di riferimento è orientata sulla libertà (...). Non è una libertà intesa come situazione, vale a dire come pura possibilità di attuazione, bensì libertà che realizza chances di vita. Ed egli stesso si poneva nella prospettiva di uno che va e viene tra le frontiere della scienza sociale e della politica, tra l’analisi e l’azione (…). Non bisogna restare fermi alle apparenti sicurezze dello status quo, libertà è sempre una sfida all’attività (…) non fine a se stessa. Il fine più alto è l’estensione delle chances di vita dei vincenti a tutti gli altri. Servono intuizione, fantasia, pazienza, tenacia, e soprattutto sforzi incessanti per migliorare il benessere degli uomini.

 

Condivido completamente l’analisi di Dahrendorf e in verità ho sempre pensato che queste qualità dovrebbero essere patrimonio irrinunciabile di chiunque si trovi, sia pure con modalità diverse, a ricoprire ruoli attivi nell’ambito della società. Credo fortemente nella centralità della persona umana indipendentemente dall'attività che viene svolta: politici, imprenditori, manager, docenti, scienziati, artisti, i lavoratori tutti, ciascuno con il proprio bagaglio di esperienze e competenze, nell’ambito della propria attività, dovrebbe sentire la responsabilità civile di lavorare a questo progetto di libertà che rimane fattore imprescindibile di progresso. L’esperienza insegna che coloro che riescono a mantenere l’indipendenza intellettuale, di pensiero e di azione, sono poi capaci di precorrere i tempi e di contribuire in maniera determinante al miglioramento della qualità della vita dell’Uomo. In questa categoria, tra i tanti che ogni giorno lavorano con intelligenza, passione e tenacia, hanno sicuramente un posto privilegiato gli artisti, per loro natura portati alla creatività ed alla innovazione. Certo, creatività e innovazione, da sole, non possono essere considerate un lasciapassare per il progresso sociale, che si fonda su principi etici universali. In alcuni contesti aziendali sia pure innovativi, talvolta accade, per esempio, di trovare manager che, rimanendo abbagliati dalla logica meccanicistica degli obiettivi personali  di brevissimo termine, dimentichino, nelle operazioni quotidiane, il rispetto dell’individuo, e sottovalutino l’obiettivo principale dell’Azienda che è quello di creare valore attraverso la produzione di un profitto che, oltre che retribuire gli azionisti, dovrebbe essere  reinvestito nel territorio che l’ha generato per creare servizi efficienti, nuova occupazione, ricchezza e qualità di vita. In una recente pubblicazione, Alberto Abruzzese afferma che le arti hanno ancora il linguaggio giusto per dire ciò che è difficile ascoltare, ciò che c’è ma non si vede, ciò che si vive ma non si sa dire e, in questo contesto, nota che le moderne discipline della comunicazione sociale, avendo a cuore le persone e i loro rapporti, si relazionano con le arti assai più facilmente che con un marketing che pensi al pubblico come target commerciale o con un politico che abbia in testa l’audience televisiva invece che il senso delle cose e del mondo.

Già alla fine del ‘700,  criticando il mondo contemporaneo, portato a frammentare la società in  nome di esigenze utilitaristiche, Schiller sostiene che attraverso l’educazione estetica è possibile portare gli uomini ad una nuova armonia di vita che rispetta e promuove la totalità del singolo e della società; più recentemente, in occasione del Giubileo del 2000, Papa Giovanni Paolo II nella Lettera agli Artisti scrive: Proprio mentre obbediscono al loro estro nella creazione di opere veramente valide e belle, essi non solo arricchiscono il patrimonio culturale di ciascuna nazione e dell’intera umanità, ma rendono anche un servizio sociale qualificato a vantaggio del bene comune. Vanno in questa direzione anche i principi enunciati, sul tema della interculturalità, dall’UNESCO che, nell’incoraggiare “la mobilità di creatori, artisti, ricercatori, scienziati e intellettuali e lo sviluppo di programmi e collaborazioni di ricerca internazionale”, riconosce la necessità di prestare particolare attenzione al lavoro creativo e di valorizzare beni e servizi culturali quali vettori di identità, valori e significati. L’UNESCO ribadisce, inoltre, che la diversità culturale è una delle radici dello sviluppo, inteso non semplicemente in termini di crescita economica, ma anche come mezzo per raggiungere un’esistenza più soddisfacente dal punto di vista intellettuale, emotivo, morale e spirituale.

 

Arte contemporanea e arte relazionale

L'arte è stata sempre, più o meno, un fattore di socializzazione e un principio fondante del dialogo, ma si deve a Nicolas Bourriaud,  uno dei più significativi contributori allo sviluppo dell’arte contemporanea nella direzione del “realismo operazionale”,  la  razionalizzazione del concetto di arte relazionale, un'arte che prende come relativo orizzonte teorico il regno delle interazioni umane e del relativo contesto sociale.

Per Nicolas Bourriaud ci troviamo oggi di fronte ad una nuova generazione di artisti animati da un forte interesse per le relazioni e ì rapporti umani che fanno emergere una nuova cultura di interazioni. Sono artisti, architetti e urbanisti che operano nella città “cosmopolita” con una grande capacità di ascolto e visione sociale, che riescono a costruire un discorso con la comunità stessa  e lo spazio da essa prodotto, facendo esperienza in prima persona degli immaginari e dei desideri elaborati da essa e promuovendo, tra gli immaginari possibili, utopie realizzabili. Sono artisti che, in questa società dei consumi, hanno ben chiaro che il compito fondamentale dell'arte non è quello di creare “prodotti” interculturali ma è l’atto stesso della creazione e della fruizione di un’opera, con la sua capacità di incidere positivamente sulle relazioni, a renderla interculturale.

Nel loro percorso umano ed artistico essi sono andati ben oltre, e ben più in profondità, rispetto agli autori di quel tipo di esibizioni che, purtroppo ancora oggi, ripetendo un processo di denuncia sicuramente necessario nel XX secolo ma ormai, a mio parere, anacronistico, mette in scena la diversità spettacolarizzandola. Nel momento in cui dalla denuncia si è passati ad un costruttivo lavoro di integrazione armonica delle diversità, infatti, non serve più la “narrazione”, ancorché tecnicamente perfetta, della interculturalità attraverso la presentazione in galleria di foto di bambini negri e malnutriti in braccio a bionde artiste vestite di bianco a modo di Madonne rinascimentali, o di altri simboli scontati e stereotipati della diversità. L’interculturalità deve emergere dal contenuto del progetto e dagli effetti concreti che riesce a realizzare nel sistema di relazioni tra gli individui di diverse estrazioni; da un’arte che parla degli altri ad un arte che parla con gli altri, un’arte il cui obiettivo sia quello di creare un dialogo tra persone di diverse età, culture, generi, mondi.

Dice Bourriaud: l’interattività incomincia con una stretta di mano che, in un certo senso, è più interessante di qualsiasi relazione possa essere mediata da mezzi tecnologici: l’artista inventa relazioni tra la gente con l’aiuto di segni, forme, azioni o gesti; il ruolo della produzione artistica diventa quello di definire modi di vivere e modelli d’azione all'interno della realtà attuale, qualunque sia la scala scelta dall'artista. Contemporaneamente cambia anche il concetto di luogo, si sperimentano altri tipi di rappresentazioni e partecipazioni, la mostra diventa evento, il luogo in cui possono avvenire raggruppamenti governati da principi differenti generando  "un'arena specifica dello scambio".

A testimonianza della forza espressiva dell’arte e della sua efficacia come forma di comunicazione senza confini geografici o politici, riporto la mia  personale esperienza in occasione dell’evento/mostra personale di pittura “Oltre l’orizzonte” che ho ideato e realizzato a Roma a fine 2006. Nella sala del Centro Internazionale d’arte OAD si sono avvicendati visitatori di tutte le età, di ogni nazionalità, che si sono fermati a guardare i dipinti ed a parlare.  E molti di loro alla fine della visita hanno sentito il bisogno di scrivere le proprie impressioni. Si ritrova in queste testimonianze un sentimento comune: l’emozione nel ritrovare, attraverso luce, colore, trasparenza, poesia  gli stessi sentimenti da me vissuti nel momento della creazione dell’opera: ottimismo ed energia positiva. Una  cartolina illustrata, distribuita a visitatori e passanti, riportava sul retro, in piccolo, il mio personale messaggio: Oltre l’orizzonte nasce dalla personale convinzione che la linea visibile dell’orizzonte non deve essere un confine ma basta camminare con impegno ed entusiasmo per vedere dischiudersi davanti a se nuovi coloratissimi mondi. La cartolina, strumento e, allo stesso tempo, metafora della comunicazione, continua ancora oggi a rendere vivo ed aperto l’evento anche a distanza di qualche mese  dalla chiusura della mostra “tradizionale”.

Con lo stesso spirito orientato ad attivare il dialogo con la società, anche se  su scala diversa e con risonanza ben più ampia, sono stati concepiti i progetti di artisti come Pietroiusti, Garutti, Fantin, solo per citarne alcuni.

Ogni volta che qualcuno gli propone di realizzare un nuovo progetto per una mostra (o qualsiasi altro contesto), Cesare Pietroiusti  ricerca un punto di accordo fra il luogo, le persone coinvolte e se stesso. Grazie alla sua capacità di entrare in relazione con gli altri e di partecipare alle dinamiche di gruppo, con le sue opere riesce bene a rispondere alla sempre più diffusa domanda di una nuova forma di arte pubblica che si inserisce nel tessuto sociale. Anche Alberto Garutti concepisce l’arte  come arte dell’incontro. Che cosa è un’opera se non un’occasione di scambio di visioni, immagini e immaginazioni, un incontro tra persone, pensieri, e culture. In questa logica il progetto “Nati oggi” è, a mio parere, uno dei più interessanti. Osserva Garutti: il tema della nascita ha un carattere di universalità che prescinde da nazionalità, lingua, religione e cultura, e l’opera  si relaziona con la città a differenti scale, (…) si moltiplica e si propaga in infiniti modi. L’opera è stata portata in diverse città del mondo tra cui Instanbul in occasione della Biennale. Le luci del ponte erano state collegate con l’ospedale Zeynep e alla nascita di ciascun bambino si accendeva una luce. Usando poi il linguaggio della pubblicità, quindi di immediata e facile comunicazione con i cittadini, Garutti aveva fatto affiggere per tutta la città dei grandi manifesti con la foto del ponte del Bosforo, con una piccola famiglia che lo guardava. La didascalia diceva: “I lampioni di questo ponte sul Bosforo sono collegati con il reparto di maternità dell’ospedale di Zeynep. Ogni volta che la luce lentamente pulserà vuol dire che è nato un bambino. Questa opera è dedicata a lui ed ai nati oggi in questa città”.

Nei suoi progetti Garutti interviene sul territorio tenendo conto del luogo, della sua storia e delle persone che lo andranno ad abitare. A questo proposito trovo interessanti, tra le altre, sia l’attività svolta dalla Fondazione Adriano Olivetti che, nel promuovere le ricerche interdisciplinari fra artisti, architetti, urbanisti e sociologi, cerca di affrontare questioni complesse, legate alla gestione del territorio, sia le esperienze a Venezia dell’associazione Urbanlab. In questo contesto, nel biennio 2002-2004, numerosi artisti hanno espresso, anche attraverso video, elaborazioni al computer, fotografie un nuovo modo di percepire e di intervenire in una città molto complessa come Venezia, attraverso progetti artistici che si relazionano non più con la Venezia del centro storico visitato da milioni di turisti, ma con la città delle isole minori della laguna nord, dei quartieri della periferia con i suoi abitanti provenienti da ogni parte del mondo, della tangenziale, del territorio nella sua concreta realtà.

Per esempio, Emilio Fantin, ideatore del progetto “Ultrasuoni”, ha pensato allo stadio come il luogo in cui  le energie, i sogni, i desideri, le passioni degli individui si materializzano, si consumano e si rigenerano. La condivisione nei processi creativi collettivi è qualcosa che può essere praticata secondo modi e procedure diverse: parte della mia ricerca consiste quindi nella individuazione di queste modalità, – dice Fantin – il progetto Ultrasuoni conferma questa volontà, producendosi su un piano progettuale collettivo, relazionandosi ad un gruppo esterno (gli ultrà) e rivolgendosi a tutta la comunità (pubblico). L’idea è stata quella di utilizzare la registrazione sonora dei cori e dei suoni durante più partite di calcio e  di farla ascoltare allo Stadio Penzo di notte dalle 21 alle 23. Immaginate lo stadio vuoto completamente illuminato, con una colonna sonora di cori da stadio che lo trasforma in un grande teatro, in un’arena emozionale. Il pubblico può entrare nel campo ed essere al centro di una grandiosa scenografia dove risuonano le note di questa particolarissima sinfonia. Pierluigi Sacco, commentando il progetto, ci ricorda che l’arte e lo sport, interpretati come modelli di esperienza e come modi di conoscere il mondo, possono essere una stupefacente occasione di sviluppo umano.

Questi progetti, testimonianza concreta del ruolo sociale svolto dall’artista contemporaneo nel suo rapporto col mondo fatto di cognizione e azione, operano nella direzione di realizzare il sogno di una pacifica e armonica convivenza delle  diversità. Se, e quando, questo sogno  si verificherà non mi è dato sapere, per certo condivido l’affermazione dell’architetto Giò Ponti: “Nulla si è mai avverato che non fosse prima sognato”. 

 

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Bibliografia:

Ralf Dahrendorf  Libertà attiva - Laterza Bari-Roma 2003 

John C. Maxwell Etica & affari - Sperling & Kupfer Milano 2006 

Tribù della memoria catalogo della mostra a cura di Alberto Abruzzese – Cooper Roma 2005 

Sito www.danielatroina.it

Nicolas Bourriaud Relational aesthetics - Presses du reel Dijon 2002  

Politica culturale e territorio a cura di Daria Filardo e Gino Gianuizzi - Università degli studi di Firenze 2005

Citying - pratiche creative del fare città - Catalogo a cura di Riccardo Caldura e Mara Ambrozic -  

Supernova    Lido VE 2005.

R. Fumai, Daniela Troina: il coraggio del cambiamento  Eventi culturali,  12/2006 pagg. 96-97 

Intervista di Hans Ulrich Obrist pubblicata sulla rivista Domus 2006

 

 

 

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