Intervento di Padre Renzo Campetella alla Tavola Rotonda "Essere anticonformisti nel Terzo Millennio" organizzata da Daniela Troina Magrì a Roma il 15 Marzo 2011 in occasione della presentazione del suo libro "Ehi, boy…and girls!" presso la Casa Editrice Gangemi 

 

Il Senso della vita

 

Per prima cosa desidero ringraziare Daniela Troina per avermi invitato a questa tavola rotonda. Il tema da lei scelto mi ha subito attratto perché, da quando sono nato, questo tema è stato il motivo trainante della mia vita.

Ho sempre creduto che essere anticonformisti non significhi ribellarsi a delle regole sociali o essere eccentrici, ma significhi essere se stessi. Solo trovando in sé l’uomo vivente e rendendolo autentico noi possiamo realizzarci come persone ed essere utili agli altri. Il senso della vita è tutto qui: essere felici perché abbiamo scoperto i nostri talenti, abbiamo trovato il positivo che è in noi e lo abbiamo portato fuori per viverci dentro!

In tutti noi vi è una grande sete d’infinito e se non riusciamo a farlo nostro è perché siamo inariditi.

In tutti noi vi è un bisogno di certezze e se siamo attanagliati nelle nostre solitudini esistenziali e nelle nostre paure è perché abbiamo perduto i punti di riferimento.

La vita non ha senso se non le diamo senso ed ognuno di noi è chiamato a farlo trovandone le coordinate che l’aiutano a crescere nel positivo e a maturare nella Verità.

Per crescere positivamente abbiamo bisogno di una sufficiente stima di noi stessi. Senza di essa ci sentiamo continuamente incapaci, inferiori e privi di energia per affrontare con determinazione gli impegni della vita.

La stima di sé è correlata all’immagine di sé, all’idea che abbiamo di noi stessi. Un’immagine che acquista un notevole peso nella nostra vita tanto da condizionare ogni nostra esperienza. Ognuno si è fatto un’immagine di sé, che propone agli altri. Ma il più delle volte è un’immagine sbagliata. Il primo obiettivo della conoscenza di sé è, quindi, smascherarsi: imparare a distinguere ciò che siamo realmente da ciò che crediamo di essere.

Tutte le persone portano dentro di sé numerose qualità. Questa constatazione, al di là di ogni evidenza, ci sembra giusto considerarla come «dato di fede». Dio affida a tutti dei talenti, nessuno escluso. Il compito di ciascuno è quello di scoprirli e farli fruttificare. Il rischio è di vivere una vita in una ricerca ansiosa di ciò che non possediamo e non accorgerci di quanto è già nostro. Impegnandoci a cercare le nostre ricchezze, infatti, è più facile che balzino ai nostri occhi i difetti e i limiti piuttosto che i nostri pregi: posare invece lo sguardo sul proprio positivo fa diventare ottimisti, infonde energia.

La stessa realtà può assumere colorazioni opposte. Lo stesso bicchiere può essere visto da alcuni come mezzo pieno e da altri come mezzo vuoto. Purtroppo nella nostra cultura siamo più portati a vedere le cose che non vanno piuttosto che quelle che funzionano bene. Come dice un proverbio orientale: «Fa più rumore un albero che cade che una foresta che cresce». Tutto ciò ci deve far riflettere e cambiare prospettiva: è, infatti, possibile costruire solo sul positivo.

Se una madre rimprovera il figlio già triste per il brutto voto preso nel compito per la cattiva grafia, non ottiene il miglioramento del bambino, ma solamente il suo ulteriore scoraggiamento. Se invece la mamma fa notare al figlio che nel compito vi sono delle parole scritte bene aiuterà quest’ultimo ad avere più fiducia e a capire che, come ha scritto bene quelle parole, potrà fare così anche con le altre. Se non vi fosse neppure una parola scritta come si deve, la mamma dovrà andare a cercare anche una sola lettera scritta bene. E se neppure una lettera è scritta bene? La madre farà di tutto per trovare almeno un punto collocato al posto giusto e loderà il figlio per questo: i bambini hanno bisogno di sentirsi incoraggiati e solo così riusciranno a crescere nella propria autostima.

Sono due le modalità per realizzare la nostra maturazione: impegnarsi nello smussare i propri limiti, o tentare di accrescere le proprie potenzialità ed il proprio positivo. Penso che, anche se non si debba dimenticare la prima possibilità, la seconda sia la più semplice da realizzare e la più efficace: è facendo perno sul nostro positivo che possiamo rendere più solida la nostra personalità. Come un pesce non può stare fuori dell’acqua, così anche noi abbiamo un profondo bisogno di vivere immersi nel nostro essere. È questo, infatti, l’habitat in cui possiamo sperimentare gioia, pace, libertà, amore, armonia.

Dobbiamo giungere sempre più ad una consapevolezza emotiva, che sia attenta alle sensazioni che accompagnano l’espressione delle nostre positività più profonde.  Conoscere con la mente, ma anche sentire con il corpo, la compassione, l’entusiasmo, la sofferenza, la vita che è in noi. Gli aspetti positivi costituiscono la parte più robusta e più viva della nostra personalità, ad essi dobbiamo conformarci senza condizionamenti per essere noi stessi.

Non ci è lecito essere come tutti ci vogliono: avremmo l’approvazione… ma perderemmo noi stessi. Non ci è lecito fare le leggi che la gente vuole: otterremmo voti e consenso… ma zittiremmo la nostra coscienza. Cercare l’approvazione dei nostri superiori ci libererebbe da molti problemi… ma ci farebbe anche perdere la libertà. Compiacere i nostri genitori ci renderebbe beneaccetti… ma ci farebbe anche rimanere bambini.

Cercare l’approvazione degli altri, per il Vangelo, è demoniaco perché si tratta di rinunciare alla propria missione e alla propria strada.

 La conoscenza di sé è un lavoro lungo, complesso, che deve essere compiuto nella Verità. Solo la verità ci rende liberi. Per essere liberi bisogna avere il coraggio di affidarsi a Dio, di fare il «salto nel mistero» e credere che tutto ciò che pare irraggiungibile con le nostre forze diventa possibile con l’aiuto di Dio. Se si affronta il divino con caparbietà o con indifferenza non si può entrare in sintonia con esso, se si pensa a Dio come a un padrone assoluto, tiranno dispotico che ci sfida con la sua superiorità e non tiene conto delle nostre debolezze e difficoltà non riusciremo mai a trovare il senso profondo della nostra vita.

Per trovare il senso della propria vita, ossia per conformarci al bene che è stato progettato per ognuno di noi, si deve essere consapevoli che non siamo tutti uguali. Non facciamo parte di una massa indifferenziata. Non siamo un numero, confuso nella quantità. Non siamo pedine che possono essere sostituite da altre, essere intercambiabili, nel vasto scacchiere del mondo. Siamo esseri unici, inconfondibili, irripetibili.

L’esistenza di ciascuno di noi è un evento originale. Non vi sono due esseri umani uguali. L’elemento fondamentale dell’essere uomini è la unicità. Ogni essere umano ha da dire, da pensare e da fare qualcosa che non ha precedenti. Solo l’incrostazione, il trucco, il conformismo, riducono l’esistenza ad una generalità: <<Essere uomini è una cosa sempre nuova… Essere uomini è una sorpresa, non una conclusione scontata. La persona umana ha la capacità di creare degli eventi. Ogni individuo è una scoperta, un esemplare esclusivo>> (A. J. Heschel).

Non esiste l’uomo medio. Non esiste l’uomo ordinario, tipo, standard. Meglio, esiste soltanto nelle statistiche. Quando una persona accetta di affogare nel conformismo, nella mediocrità generale, compie una specie di suicidio. Un proverbio popolare dice: “Dio l’ha fatto e poi ha gettato via lo stampo”. Ciò è vero per ognuno di noi. Dio non lavora in serie. L’uomo non esce da una colossale catena di montaggio celeste che sforna prodotti pressoché uguali. Ogni uomo è un modello originale. Ogni uomo viene creato con delle caratteristiche peculiari che possiede in esclusiva. Dio concede a ciascuna creatura l’esclusiva della Sua immagine: <<Io sono qualcosa che non può essere ripetuto e di cui non esiste copia o sostituto>> (A.J.Heschel). Ogni uomo che nasce ha un compito “unico” da svolgere nel mondo.

Si dice, comunemente, che nessuno è insostituibile. Niente di più falso. Ogni uomo che viene al mondo è insostituibile. Dal momento che è stato creato, è insostituibile alla sua vita, all’amore: ognuno è chiamato a produrre una nota originale, unica, nel concerto dell’universo.

Se non ci realizziamo, se non siamo noi stessi, priviamo il mondo, la Chiesa , di qualche cosa che soltanto noi siamo in grado di produrre. Se non viviamo in pienezza lasciamo mancare la nostra nota necessaria alla sinfonia generale. Una nota che nessun altro può produrre al nostro posto.

Possiamo farci sostituire in un lavoro, ma non possiamo farci sostituire nella vita. Nessuno può sostituire la più piccola creatura che rifiuta il proprio posto nella vita. Per ciò che facciamo possiamo anche essere inutili. Anzi, è igienico possedere questo senso di inutilità. Ma per ciò che siamo, per quello che siamo chiamati ad essere, risultiamo assolutamente indispensabili. La vita non può fare a meno di nessuno di noi. Non ci è consentito di concederci turni di assenza dalla vita.

Dio c’è ed è un Dio che si lascia dare del tu ed è lieto di vederci liberi, felici e cresciuti. Soprattutto, Dio non si pone davanti a noi come un padre noioso per ripararci dal vento gelido della vita, ma ci rende pienamente responsabili delle nostre scelte. Tanto meno Dio è una sedia sulla quale possiamo sederci quando siamo stanchi. Questo Dio lo abbiamo inventato noi.

Quando Dio ci ha creati ha immesso nella parte più riposta del nostro essere un progetto divino che ci avrebbe realizzati. Questo progetto è stato da Lui disegnato in armonia con la nostra personalità e con i nostri moti interiori per renderci felici ed è adeguato alle nostre ricchezze e debolezze. Lui ci lascia liberi di accoglierlo e portarlo avanti o di farlo cadere dimenticando la Sua paternità e, quindi, le nostre origini. È paziente il nostro Dio e ha già progettato un incontro per ognuno di noi, aspetta solo che, bussando alla nostra porta, noi gli apriamo.

Molti pensano, invece, che sia difficile incontrarsi con Dio ma non meditano abbastanza che siamo stati creati a Sua immagine e somiglianza e che, essendo nostro Padre, noi siamo Suoi eredi. Molti dimenticano che Cristo ha condiviso la nostra umanità, che ci ha chiamato amici ed è risorto per fare di noi degli altri Lui.

O prima o poi, tutti riceviamo un appuntamento con Dio. A volte perché lo vogliamo noi, ma il più delle volte perché è Lui stesso a prendere l’iniziativa. Dio è l’amore vero, quello con la A maiuscola e non siamo noi a trovarlo, è lui a trovare noi. A noi è dato solo di accettarlo o rifiutarlo.

Quando questo incontro scatta, è difficile non prenderlo sul serio. Non solo perché pesa nel nostro cuore portando con sé gioia o dolore, felicità o tristezza, a seconda delle nostre risposte, ma soprattutto perché chi non prende sul serio Dio resterà per sempre una persona superficiale e confusa.

Il senso della vita è conformarsi all’idea che Dio ha di noi, è essere quelli che Lui ha creato e portare a termine il Suo progetto di bene e di felicità.

Chi si conforma a questa idea diventa il vero anticonformista del terzo millennio, un millennio che ha bisogno di persone autentiche, di combattenti per la Verità , di Uomini e Donne forti, decisi e decise a uscire dal branco per costruire insieme quel mosaico variegato in cui ogni tesserina brilla grazie alla sua luce e alla sua diversità e rende viva e autentica l’immagine dell’umanità che Dio ha creato. 

 

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